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Salone del mobile a Milano, con incognita dei dazi USA

Le aspettative degli imprenditori di Matera

Si alza il sipario sulla 63esima edizione del Salone Internazionale del Mobile e, anche quest'anno, le eccellenze lucane del made in Italy saranno protagoniste indiscusse del più importante appuntamento internazionale per la design industry. Negli spazi espositivi di Rho Fiera di Milano sono attesi 370mila visitatori che fino a domenica 13 aprile potranno visitare più di 2.000 espositori.

Per Confindustria Basilicata, "il complesso contesto internazionale e, in particolare, l'inasprirsi dei rapporti commerciali per effetto dei dazi USA, generano preoccupazione ma anche la consapevolezza che l'esposizione sarà una importante occasione per attrarre nuovi operatori di mercati emergenti. In un'epoca in cui le nuove tecnologie aprono nuovi interrogativi sul rapporto tra uomo e macchina, l'edizione 2025 del Salone mette al centro la centralità della persona sia nel processo di creazione, che nella fruizione di una tipologia di prodotto in cui è centrale la soddisfazione di bisogni e valori fortemente personali. Sono otto le aziende lucane associate a Confindustria Basilicata che esporranno al Salone con prodotti contraddistinti da cura artigianale, elevati standard qualitativi, forte creatività, innovazione e attenzione crescente alla sostenibilità".

Confapi Matera pone l'attenzione sui dazi USA e sull'assenza di importanti operatori asiatici. "Quest'anno - dichiara il Presidente della Sezione Unital Legno-Arredamento di Confapi Matera, Luca Colacicco - la fiera è meno attrattiva che in passato. La nota stonata, infatti, sta nel fatto che molti grandi marchi del mobile imbottito non partecipano alla fiera ma sono presenti con propri showroom solo al Milano Design Week, cioè alle manifestazioni del Fuori Salone, in un clima meno caotico e più rilassante. Questo è un elemento di preoccupazione – sostiene Luca Colacicco – perché comporta una riduzione dei visitatori, come dimostra il calo dell'affluenza degli ultimi anni. In pratica si lavora nei primi due giorni e poi si va calando, fino al deserto totale del fine settimana".

"Molti clienti asiatici non visitano più il Salone del Mobile di Milano a causa dei costi troppo elevati per il viaggio e il soggiorno nel capoluogo lombardo durante il periodo del Salone. Non vorremo che accadesse come a Colonia, dove l'edizione 2025 della fiera del mobile è stata cancellata. Forse bisognerebbe ridurre la durata dell'evento oppure renderlo biennale, considerato che per le imprese l'investimento è enorme e il ritorno scarso. I produttori preferiscono kermesse come Guangzhou, Birmingham o High Point, fiera quest'ultima che seguirà quella di Milano".

Giuliana Mongelli, Vicepresidente della Sezione Unital Legno-Arredamento di Confapi Matera, sottolinea che "le tensioni internazionali legate alle note vicende geopolitiche hanno già sottratto mercati come Russia, Israele, Libano, e complicato il commercio col Sud Est asiatico. A causa delle difficoltà di transito del Canale di Suez e del Mar Rosso, infatti, da quasi un anno e mezzo le merci dirette verso l'Asia devono compiere un percorso molto più lungo per giungere a destinazione, con danni enormi per le nostre aziende. E anche le materie prime in arrivo dall'Asia arrivano con molto ritardo e con costi di trasporto triplicati".

"A causa dei dazi americani, inoltre – continua la Vicepresidente Mongelli – le merci ordinate, per esempio, a gennaio, quindi col listino prezzi di alcuni mesi fa, e che hanno raggiunto adesso i porti di partenza per gli Usa, si vedono oggi applicare un aumento del 20%, con un duro colpo per i clienti e per le imprese. Per fortuna i prodotti di alta gamma avranno un impatto limitato, ma i produttori di fascia medio-bassa saranno letteralmente distrutti".

"Quello che noi chiediamo al Governo nazionale – conclude il Presidente Colacicco – è di convocare subito un tavolo di discussione per assumere decisioni rapide, come ha fatto la Spagna, in modo da aiutare le imprese consentendoci di lasciare i listini invariati. Quanto costerebbe allo Stato se le aziende chiudessero o licenziassero, in termini di cassa integrazione, tasse non versate, inflazione e disoccupazione? Meglio dunque dare alle imprese la chance di giocarsi le proprie carte senza licenziare i dipendenti".
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