Violenza sulle donne? A Matera dopo le parole si attendono i fatti
Occorre potenziare e strutturare adeguatamente la capacità di ascolto sul territorio
martedì 28 febbraio 2017
14.01
A distanza di alcuni mesi, le associazioni che avevano promosso l'iniziativa finalizzata a condannare ogni forma di discriminazione, e che a novembre avevano sfilato in corteo da piazzetta Pascoli fino a piazza Vittorio Veneto, aderendo alla manifestazione del Collettivo Donne e dell'associazione Khaleh onlus denominata "Non una di meno" e scandendo ad una ad una i nomi delle persone uccise, sono ritornate a confrontarsi per chiedere che, a anche a livello locale, vengano messi in campo interventi come forma di aiuto e sostegno alle donne vittime di violenza. In quella occasione furono installate, il 25 novembre scorso, in centro città a Matera, sagome bianche in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ricordando le tante vittime del femminicidio.
Il perché di questa nuova presa di posizione? Come sottolineano gli organizzatori oggi si registra ancora l'assenza di una casa rifugio che permetta di incidere con tempestività sulle situazioni di disagio ed emergenza. Spesso chi subisce vessazioni e ogni genere di violenza, anche all'interno delle mura domestiche, non ha la forza o gli strumenti per denunciare gli abusi. A livello comunale non è sufficiente l'opera dei servizi sociali. Occorre potenziare e strutturare adeguatamente la capacità di ascolto sul territorio rispetto a queste dinamiche.
Nello specifico il dito è puntato contro lo sportello di ascolto per le vittime di violenza di genere e stalking che il Comune si era impegnato ad istituire. Come si aspetta che il Piano anti violenza della Regione Basilicata per il quale era stata prevista la relativa dotazione finanziaria abbia inizio.
Quello che è stato rilevato in più circostanze da parte del Collettivodonne di Matera è che l'attività dei consultori è stata sostanzialmente ridotta ad una attività ambulatoriale, decentrando la struttura che era ubicata nel centro cittadino, che era un prezioso punto di riferimento anche per gli utenti provenienti dalla provincia, disattendendo al contempo anche le stesse linee guida della Regione Basilicata che prevede un consultorio ogni ventimila abitanti. Insomma oltre al Progetto panchine rosse, due installate ai Giardini dell'Unità d'Italia e una al Parco Giovanni Paolo II, le associazioni adesso chiedono che possa mettersi in atto concretamente un percorso che veda la Capitale europea della cultura 2019, notoriamente conosciuta anche come città delle pace e dei diritti umani, in grado di predisporre una piattaforma di interventi per fornire risposte sempre più incisive ad una problematica di stretta attualità.
Il perché di questa nuova presa di posizione? Come sottolineano gli organizzatori oggi si registra ancora l'assenza di una casa rifugio che permetta di incidere con tempestività sulle situazioni di disagio ed emergenza. Spesso chi subisce vessazioni e ogni genere di violenza, anche all'interno delle mura domestiche, non ha la forza o gli strumenti per denunciare gli abusi. A livello comunale non è sufficiente l'opera dei servizi sociali. Occorre potenziare e strutturare adeguatamente la capacità di ascolto sul territorio rispetto a queste dinamiche.
Nello specifico il dito è puntato contro lo sportello di ascolto per le vittime di violenza di genere e stalking che il Comune si era impegnato ad istituire. Come si aspetta che il Piano anti violenza della Regione Basilicata per il quale era stata prevista la relativa dotazione finanziaria abbia inizio.
Quello che è stato rilevato in più circostanze da parte del Collettivodonne di Matera è che l'attività dei consultori è stata sostanzialmente ridotta ad una attività ambulatoriale, decentrando la struttura che era ubicata nel centro cittadino, che era un prezioso punto di riferimento anche per gli utenti provenienti dalla provincia, disattendendo al contempo anche le stesse linee guida della Regione Basilicata che prevede un consultorio ogni ventimila abitanti. Insomma oltre al Progetto panchine rosse, due installate ai Giardini dell'Unità d'Italia e una al Parco Giovanni Paolo II, le associazioni adesso chiedono che possa mettersi in atto concretamente un percorso che veda la Capitale europea della cultura 2019, notoriamente conosciuta anche come città delle pace e dei diritti umani, in grado di predisporre una piattaforma di interventi per fornire risposte sempre più incisive ad una problematica di stretta attualità.