Recovery Plan, “La Scaletta” scrive a Bardi
Lettera del presidente del circolo culturale di Matera al Governatore della Basilicata
sabato 26 dicembre 2020
"Egregio Presidente, la pandemia da Covid metterà alla prova i sistemi nazionali in termini di capacità ed efficacia di azione governativa in direzione della ripresa socio economica, rivedendo o addirittura invertendo i modelli di sviluppo perseguiti fino ad ora".
Questo l'inizio della missiva che Paolo Emilio Stasi, presidente de "La Scaletta", ha indirizzato a nome del Circolo Culturale al Governatore della Regione Basilicata, Vito Bardi in materia di programmazione strategica delle risorse finanziarie destinate al territorio lucano e al Mezzogiorno, nell'ambito del Recovery Plan. IL documento è stato elaborato dal Gruppo di Lavoro sui problemi socio-economici-ambientali e pianificatori del Circolo composto da Paolo E. Stasi, Franco Vizziello, Bruna Ponte, Franco Di Pede, Piergiuseppe Pontrandolfi, Angelo Andriulli, Daniela Zattoni, Carlo De Ruggieri, Ida Riccardo, Enzo Matera e Giampaolo Iacobini.
La lettera poi continua:
"Molti commentatori e studiosi avanzano come credibile la prospettiva di un graduale e progressivo ridimensionamento dei trend di inurbamento della popolazione nei grandi centri metropolitani ed urbani, cosa assolutamente impensabile solo un anno addietro all'inizio della pandemia.
Molte persone in questo frangente hanno scelto di allontanarsi, anche grazie al fatto che sia stato consentito lo smart working, dai grandi agglomerati urbani trasferendosi in medi e piccoli centri.
Una declinazione alla scala territoriale del "distanziamento fisico" che preconizza la limitazione della concentrazione di popolazione nelle grandi aree metropolitane/urbane a favore del ritorno/permanenza stabile di quote significative di popolazione nei centri di media dimensione o addirittura nei borghi più interni del territorio. Per assicurare tale trend si dovranno strutturare e consolidare nuovi sistemi urbani in grado di garantire un "effetto città", pure in un'ottica di complessivo riequilibrio territoriale di funzioni e servizi ed opportunità di vita e di lavoro.
Con riferimento alla dimensione dei piccoli borghi e delle cosiddette "aree interne" del Paese, va ricordato che la maggior parte di queste realtà oggi è caratterizzata da fenomeni di spopolamento e progressivo degrado fisico e sociale. Il loro recupero/riuso è fondamentale per far rinascere e dare un futuro a realtà economiche e sociali capaci di legare le nuove generazioni ai territori e di attrarre nuovi residenti. In questo senso la proposta di riabitare i piccoli borghi, decongestionando le realtà urbane più grandi e favorendo al contempo un oggettivo distanziamento fisico della popolazione sul territorio, è certamente condivisibile ed auspicabile.
Allo stesso tempo, una tale prospettiva, come evidenziato nella Strategia Nazionale Aree Interne del nostro Paese, non può prescindere dall'affrontare e risolvere, anche immaginando soluzioni innovative e più efficienti, il tema ad esempio della inadeguata dotazione di servizi e qualità/opportunità di vita e di lavoro nei territori interessati, o ancora la spesso scarsa e precaria accessibilità ai centri abitati presenti in queste realtà territoriali svantaggiate.
Isolamento delle aree interne, difficoltà nei collegamenti, chiusura di servizi primari, accorpamenti e/o soppressione di scuole dell'obbligo e di servizi nel settore terziario, soppressione e accorpamento di servizi ed uffici di valenza territoriale nel capoluogo di regione hanno contribuito al fenomeno della denatalità e degli esodi. Matera 2019 ha prodotto benefici, anche territoriali, in alcuni settori produttivi e professionali ma non ha impedito l'ulteriore esodo di giovani laureati o specialisti con professionalità che non fosse legata ai settori turismo, ricettività e ristorazione.
I piccoli borghi dovrebbero integrarsi fra loro in "sistemi di città" al fine di raggiungere, insieme, il così detto effetto-città, ribaltando la esistente e tradizionale condizione di dipendenza e di gravitazione rispetto a centri di rango superiore spesso distanti.
Urgente sarebbe una riforma delle geografie istituzionali e degli Enti Locali (in termini di funzioni e competenze) che guardi soprattutto ad una nuova dimensione pluricomunale/sovracomunale come Ente intermedio (dalle aree metropolitane alle aree interne) e che completi il processo interrotto di soppressione delle "attuali" amministrazioni provinciali, ormai svuotate di poteri, risorse ed anche di funzioni reali di rappresentanza politica. Un nuovo e più equilibrato assetto istituzionale potrà creare le condizioni per un rinnovato e più costruttivo rapporto tra Stato centrale e Regioni e si potranno affrontare, seriamente, nodi irrisolti quali il federalismo fiscale o il tema delle autonomie differenziate, come anche la gestione efficace di una pandemia.
Ad un radicale processo di riforma istituzionale, che guardi a nuovi assetti e futuri possibili per le realtà territoriali più interne, la nostra regione è particolarmente interessata. In primo luogo perché consentirebbe la rivitalizzazione delle nostre aree interne, fortemente penalizzate anche dalla difficoltosa accessibilità ma anche per la possibilità che la Basilicata instauri un maggior coordinamento con le regioni limitrofe di Puglia, Campania, Calabria e Molise. Iniziative, come quelle avviate nei giorni scorsi di coordinamento delle regioni meridionali per definire un quadro strategico di riferimento e rivendicare la giusta quota di risorse da ottenere dallo Stato per il rilancio del Sistema economico, sono primi segnali della consapevolezza di definire modalità e procedure di programmazione ormai impraticabili. Oggi ancor di più per affrontare i problemi post-covid.
In questo quadro è necessario che la Regione avvii un indispensabile processo di pianificazione e programmazione strategica che consenta di gestire al meglio le rilevanti risorse finanziare che verranno attribuite anche alla Basilicata e non solo nell'ambito del cosiddetto Recovery Plan. Come pure vanno considerate positivamente le iniziative, promosse dalla Regione, di studi e ricerche in grado di delineare una prima visione di futuro per la regione ed i principali asset su cui puntare. La Regione Basilicata oltre a possedere un patrimomio di beni ambientali, paesaggistici e demo-etno-antropologici ha anche risorse inestimabili come l'acqua ed ancora, ingenti risorse energetiche.
Il Recovery Plan proposto dal Governo prevede che il 35% dell'importo totale (il più cospicuo) sia impegnato nella misura della "rivoluzione verde e transizione ecologica". La presenza nella nostra regione di una "azienda globale di energia" (ENI) vocata al processo di transizione energetica e partecipata dallo Stato dovrebbe indurre a rivendicare la costituzione, nel nostro territorio, di un laboratorio di ricerca e sperimentazione, di rilevanza europea, che indichi come attuare la rivoluzione verde e quali dovranno essere le nuove fonti energetiche sostenibili.
È del tutto evidente, quindi, che la Regione debba, per gli scenari che si prospettano e che si sono esposti in precedenza, attivarsi quanto prima nel redigere gli strumenti di programmazione e pianificazione di competenza ovvero a provvedere a redigere un piano che, prendendo atto degli scenari che si stanno disegnando dopo che la pandemia sarà sconfitta, programmi interventi infrastrutturali e servizi territoriali. Miglioramento delle condizioni di accessibilità alle aree interne e migliori collegamenti con le altre regioni limitrofe, riorganizzazione di servizi e strutture produttive che favoriscano il riequilibrio territoriale e la diffusione di adeguate opportunità e qualità di vità, in cui coesione ed inclusione sociale siano i principali riferimenti. Un piano che, se così concepito, non potrà che essere il frutto di una ampia consultazione e del contributo di tutti i soggetti interessati e le comunità presenti sul territorio, nonchè della partecipazione di ordini, associazioni e cittadini.
In tutto ciò l'Università e gli Enti di ricerca presenti sul territorio dovranno dare un contributo notevole alla definizione di linee strategiche e programmi che abbiano la concreta possibilità di attuarsi e che siano fortemente relazionate alle caratteristiche e risorse del contesto territoriale ed alle domande espresse dalle comunità. Una Università, in particolare, che contribuisca a creare le condizioni perché le professionalità formate da essa, ma anche quelle abilitate dai centri di formazione di eccellenza, possano diventare una offerta concreta per imprese pubbliche e private del territorio.
In tale complesso ed articolato processo di riflessione sul futuro della Basilicata, l'Associazione Culturale de La Scaletta di Matera, che lo scorso anno ha compiuto 60 anni dalla fondazione, rivendica una lunga tradizione di iniziative e di impegno civile ed auspica che anche le Associazioni attente a queste problematiche possano essere coinvolte e partecipare ai processi consultivi, organizzativi e decisionali che dovranno essere avviati perché si attivi una nuova fase di sviluppo della regione.
Sono quasi trenta anni dalla ultima definizione di un programma e di una visione complessiva per la Regione (l'ultimo documento di programmazione organico risale, infatti, alla fine degli anni '90). È arrivato il momento di riprendere una iniziativa di proposta, anche a partire dalla nostra regione, che si proietti in una rinnovata dimensione di protagonismo e di sviluppo per la realtà intera del Mezzogiorno.
Certi del suo cortese riscontro si inviano cordiali saluti".
Questo l'inizio della missiva che Paolo Emilio Stasi, presidente de "La Scaletta", ha indirizzato a nome del Circolo Culturale al Governatore della Regione Basilicata, Vito Bardi in materia di programmazione strategica delle risorse finanziarie destinate al territorio lucano e al Mezzogiorno, nell'ambito del Recovery Plan. IL documento è stato elaborato dal Gruppo di Lavoro sui problemi socio-economici-ambientali e pianificatori del Circolo composto da Paolo E. Stasi, Franco Vizziello, Bruna Ponte, Franco Di Pede, Piergiuseppe Pontrandolfi, Angelo Andriulli, Daniela Zattoni, Carlo De Ruggieri, Ida Riccardo, Enzo Matera e Giampaolo Iacobini.
La lettera poi continua:
"Molti commentatori e studiosi avanzano come credibile la prospettiva di un graduale e progressivo ridimensionamento dei trend di inurbamento della popolazione nei grandi centri metropolitani ed urbani, cosa assolutamente impensabile solo un anno addietro all'inizio della pandemia.
Molte persone in questo frangente hanno scelto di allontanarsi, anche grazie al fatto che sia stato consentito lo smart working, dai grandi agglomerati urbani trasferendosi in medi e piccoli centri.
Una declinazione alla scala territoriale del "distanziamento fisico" che preconizza la limitazione della concentrazione di popolazione nelle grandi aree metropolitane/urbane a favore del ritorno/permanenza stabile di quote significative di popolazione nei centri di media dimensione o addirittura nei borghi più interni del territorio. Per assicurare tale trend si dovranno strutturare e consolidare nuovi sistemi urbani in grado di garantire un "effetto città", pure in un'ottica di complessivo riequilibrio territoriale di funzioni e servizi ed opportunità di vita e di lavoro.
Con riferimento alla dimensione dei piccoli borghi e delle cosiddette "aree interne" del Paese, va ricordato che la maggior parte di queste realtà oggi è caratterizzata da fenomeni di spopolamento e progressivo degrado fisico e sociale. Il loro recupero/riuso è fondamentale per far rinascere e dare un futuro a realtà economiche e sociali capaci di legare le nuove generazioni ai territori e di attrarre nuovi residenti. In questo senso la proposta di riabitare i piccoli borghi, decongestionando le realtà urbane più grandi e favorendo al contempo un oggettivo distanziamento fisico della popolazione sul territorio, è certamente condivisibile ed auspicabile.
Allo stesso tempo, una tale prospettiva, come evidenziato nella Strategia Nazionale Aree Interne del nostro Paese, non può prescindere dall'affrontare e risolvere, anche immaginando soluzioni innovative e più efficienti, il tema ad esempio della inadeguata dotazione di servizi e qualità/opportunità di vita e di lavoro nei territori interessati, o ancora la spesso scarsa e precaria accessibilità ai centri abitati presenti in queste realtà territoriali svantaggiate.
Isolamento delle aree interne, difficoltà nei collegamenti, chiusura di servizi primari, accorpamenti e/o soppressione di scuole dell'obbligo e di servizi nel settore terziario, soppressione e accorpamento di servizi ed uffici di valenza territoriale nel capoluogo di regione hanno contribuito al fenomeno della denatalità e degli esodi. Matera 2019 ha prodotto benefici, anche territoriali, in alcuni settori produttivi e professionali ma non ha impedito l'ulteriore esodo di giovani laureati o specialisti con professionalità che non fosse legata ai settori turismo, ricettività e ristorazione.
I piccoli borghi dovrebbero integrarsi fra loro in "sistemi di città" al fine di raggiungere, insieme, il così detto effetto-città, ribaltando la esistente e tradizionale condizione di dipendenza e di gravitazione rispetto a centri di rango superiore spesso distanti.
Urgente sarebbe una riforma delle geografie istituzionali e degli Enti Locali (in termini di funzioni e competenze) che guardi soprattutto ad una nuova dimensione pluricomunale/sovracomunale come Ente intermedio (dalle aree metropolitane alle aree interne) e che completi il processo interrotto di soppressione delle "attuali" amministrazioni provinciali, ormai svuotate di poteri, risorse ed anche di funzioni reali di rappresentanza politica. Un nuovo e più equilibrato assetto istituzionale potrà creare le condizioni per un rinnovato e più costruttivo rapporto tra Stato centrale e Regioni e si potranno affrontare, seriamente, nodi irrisolti quali il federalismo fiscale o il tema delle autonomie differenziate, come anche la gestione efficace di una pandemia.
Ad un radicale processo di riforma istituzionale, che guardi a nuovi assetti e futuri possibili per le realtà territoriali più interne, la nostra regione è particolarmente interessata. In primo luogo perché consentirebbe la rivitalizzazione delle nostre aree interne, fortemente penalizzate anche dalla difficoltosa accessibilità ma anche per la possibilità che la Basilicata instauri un maggior coordinamento con le regioni limitrofe di Puglia, Campania, Calabria e Molise. Iniziative, come quelle avviate nei giorni scorsi di coordinamento delle regioni meridionali per definire un quadro strategico di riferimento e rivendicare la giusta quota di risorse da ottenere dallo Stato per il rilancio del Sistema economico, sono primi segnali della consapevolezza di definire modalità e procedure di programmazione ormai impraticabili. Oggi ancor di più per affrontare i problemi post-covid.
In questo quadro è necessario che la Regione avvii un indispensabile processo di pianificazione e programmazione strategica che consenta di gestire al meglio le rilevanti risorse finanziare che verranno attribuite anche alla Basilicata e non solo nell'ambito del cosiddetto Recovery Plan. Come pure vanno considerate positivamente le iniziative, promosse dalla Regione, di studi e ricerche in grado di delineare una prima visione di futuro per la regione ed i principali asset su cui puntare. La Regione Basilicata oltre a possedere un patrimomio di beni ambientali, paesaggistici e demo-etno-antropologici ha anche risorse inestimabili come l'acqua ed ancora, ingenti risorse energetiche.
Il Recovery Plan proposto dal Governo prevede che il 35% dell'importo totale (il più cospicuo) sia impegnato nella misura della "rivoluzione verde e transizione ecologica". La presenza nella nostra regione di una "azienda globale di energia" (ENI) vocata al processo di transizione energetica e partecipata dallo Stato dovrebbe indurre a rivendicare la costituzione, nel nostro territorio, di un laboratorio di ricerca e sperimentazione, di rilevanza europea, che indichi come attuare la rivoluzione verde e quali dovranno essere le nuove fonti energetiche sostenibili.
È del tutto evidente, quindi, che la Regione debba, per gli scenari che si prospettano e che si sono esposti in precedenza, attivarsi quanto prima nel redigere gli strumenti di programmazione e pianificazione di competenza ovvero a provvedere a redigere un piano che, prendendo atto degli scenari che si stanno disegnando dopo che la pandemia sarà sconfitta, programmi interventi infrastrutturali e servizi territoriali. Miglioramento delle condizioni di accessibilità alle aree interne e migliori collegamenti con le altre regioni limitrofe, riorganizzazione di servizi e strutture produttive che favoriscano il riequilibrio territoriale e la diffusione di adeguate opportunità e qualità di vità, in cui coesione ed inclusione sociale siano i principali riferimenti. Un piano che, se così concepito, non potrà che essere il frutto di una ampia consultazione e del contributo di tutti i soggetti interessati e le comunità presenti sul territorio, nonchè della partecipazione di ordini, associazioni e cittadini.
In tutto ciò l'Università e gli Enti di ricerca presenti sul territorio dovranno dare un contributo notevole alla definizione di linee strategiche e programmi che abbiano la concreta possibilità di attuarsi e che siano fortemente relazionate alle caratteristiche e risorse del contesto territoriale ed alle domande espresse dalle comunità. Una Università, in particolare, che contribuisca a creare le condizioni perché le professionalità formate da essa, ma anche quelle abilitate dai centri di formazione di eccellenza, possano diventare una offerta concreta per imprese pubbliche e private del territorio.
In tale complesso ed articolato processo di riflessione sul futuro della Basilicata, l'Associazione Culturale de La Scaletta di Matera, che lo scorso anno ha compiuto 60 anni dalla fondazione, rivendica una lunga tradizione di iniziative e di impegno civile ed auspica che anche le Associazioni attente a queste problematiche possano essere coinvolte e partecipare ai processi consultivi, organizzativi e decisionali che dovranno essere avviati perché si attivi una nuova fase di sviluppo della regione.
Sono quasi trenta anni dalla ultima definizione di un programma e di una visione complessiva per la Regione (l'ultimo documento di programmazione organico risale, infatti, alla fine degli anni '90). È arrivato il momento di riprendere una iniziativa di proposta, anche a partire dalla nostra regione, che si proietti in una rinnovata dimensione di protagonismo e di sviluppo per la realtà intera del Mezzogiorno.
Certi del suo cortese riscontro si inviano cordiali saluti".