Olivicoltura, costituito a Matera comitato regionale lucano
La nuova rappresentanza di produttori nasce come interlocutore della Regione
giovedì 9 luglio 2015
8.35
Oltre 30mila aziende olivicole, per 28 mila ettari di superficie agricola utilizzata e una produzione annua vicina ai 300mila quintali l'anno d'olio. Sono i numeri che rappresentano la forza del comitato regionale del settore olivicolo, costituito a Matera con l'adesione di Assoprol, Oprol, Uprol, Apo Matera, Cooperativa Rapolla Fiorente e Olivicola Lucana.
"Finalmente – si legge in una nota congiunta – si è dato vita ad un'unica rappresentanza di produttori che diventa l'unico interlocutore con la Regione per lo sviluppo del comparto. Obiettivo centrale: dopo l'attuazione del "decreto agricoltura" che destina 32 milioni di euro per il triennio 2015-2017 al Piano olivicolo nazionale, passare al Piano olivicolo regionale strettamente intrecciato alle scelte che conterrà il nuovo PSR 2014-2020. Per le associazioni che aderiscono al comitato è necessario inoltre darà priorità ad un programma di difesa fitosanitaria dando attuazione alle indicazioni emerse nell' incontro tecnico di approfondimento dedicato alla Xylella fastidiosa, la grave patologia dell'olivo che sta interessando la Puglia".
Altro sforzo da compiere, secondo gli olivicoltori lucani, "è in direzione della costituzione di un organismo interprofessionale che comprenda l'intera filiera olivicola lucana (trasformazione, commercializzazione-distribuzione) che, come evidenzia l'Inea, è ben lontana dall'essere una vera e propria "industria", diversamente da quanto avviene per le vicine Puglia e Calabria che coprono, invece, il 70% della produzione nazionale. Per avvicinarsi a tale modello le imprese olivicole regionali dovranno continuare ad investire in innovazione tecnologica, in miglioramento qualitativo, in una maggiore aggregazione tra produttori, e il settore pubblico dovrà attuare politiche incisive e interdipartimentali, evitando burocratizzazioni inutili per l'utilizzo dei fondi
a disposizione".
Il prodotto trasformato è destinato per oltre il 60% al mercato locale, mentre il resto si divide tra autoconsumo, mercato regionale e nazionale. Solo il 3% è, invece, immesso sul mercato estero. Tre sono le tipologie di olio venduto in regione: 20% olio vergine, 46% olio extravergine e 34% olio extravergine biologico. Più in particolare, circa il 55% dell'olio extravergine prodotto viene venduto in bottiglie e soprattutto in lattine e il restante 45% è venduto allo stato fuso. L'olio extravergine biologico viene venduto in bottiglie (circa 24%) o in lattine (circa 76%).
Altro punto di debolezza, continuano i produttori lucani è "l'estrema polverizzazione e frammentazione del settore, caratterizzato da una miriade di piccole imprese, molto spesso a conduzione familiare, che coltivano poco più di un fazzoletto di terra, che usano poco le macchine, date le caratteristiche orografiche dei luoghi di coltivazione, e che hanno scarsa sintonia col mercato, dove spesso si riconosce scarso valore ad un olio di elevata qualità come quello lucano. Fenomeno questo che, accompagnato da prezzi alla produzione eccessivamente alti non corrisposti dal valore delle vendite, provoca inevitabilmente la chiusura di imprese agricole già in sofferenza".
Ma c'è ottimismo tra i produttori tenuto conto che – come registra l'Inea - l'olivicoltura lucana negli ultimi anni ha avuto un impulso dinamico molto forte, sia per l'ammodernamento dei frantoi, sia per il consolidamento di vecchie varietà nelle zone di origine e, non per ultimo, per il miglioramento delle tecniche colturali, soprattutto per quanto riguarda la nutrizione, la difesa fitosanitaria, l'irrigazione e la raccolta. "Di conseguenza – proseguono gli olivicoltori - il settore olivicolo è cresciuto in termini di qualità e capacità imprenditoriale e lo dimostra la presenza sul mercato di etichette aziendali, nonostante siano ancora molto diffuse forme di commercializzazione in cisterna e in maniera anonima. L'olio lucano presenta proprietà organolettiche uniche, in virtù delle quali si colloca da tempo tra i protagonisti del ricco paniere di prodotti tipici e tradizionali che popolano la tavola locale".
"Finalmente – si legge in una nota congiunta – si è dato vita ad un'unica rappresentanza di produttori che diventa l'unico interlocutore con la Regione per lo sviluppo del comparto. Obiettivo centrale: dopo l'attuazione del "decreto agricoltura" che destina 32 milioni di euro per il triennio 2015-2017 al Piano olivicolo nazionale, passare al Piano olivicolo regionale strettamente intrecciato alle scelte che conterrà il nuovo PSR 2014-2020. Per le associazioni che aderiscono al comitato è necessario inoltre darà priorità ad un programma di difesa fitosanitaria dando attuazione alle indicazioni emerse nell' incontro tecnico di approfondimento dedicato alla Xylella fastidiosa, la grave patologia dell'olivo che sta interessando la Puglia".
Altro sforzo da compiere, secondo gli olivicoltori lucani, "è in direzione della costituzione di un organismo interprofessionale che comprenda l'intera filiera olivicola lucana (trasformazione, commercializzazione-distribuzione) che, come evidenzia l'Inea, è ben lontana dall'essere una vera e propria "industria", diversamente da quanto avviene per le vicine Puglia e Calabria che coprono, invece, il 70% della produzione nazionale. Per avvicinarsi a tale modello le imprese olivicole regionali dovranno continuare ad investire in innovazione tecnologica, in miglioramento qualitativo, in una maggiore aggregazione tra produttori, e il settore pubblico dovrà attuare politiche incisive e interdipartimentali, evitando burocratizzazioni inutili per l'utilizzo dei fondi
a disposizione".
Il prodotto trasformato è destinato per oltre il 60% al mercato locale, mentre il resto si divide tra autoconsumo, mercato regionale e nazionale. Solo il 3% è, invece, immesso sul mercato estero. Tre sono le tipologie di olio venduto in regione: 20% olio vergine, 46% olio extravergine e 34% olio extravergine biologico. Più in particolare, circa il 55% dell'olio extravergine prodotto viene venduto in bottiglie e soprattutto in lattine e il restante 45% è venduto allo stato fuso. L'olio extravergine biologico viene venduto in bottiglie (circa 24%) o in lattine (circa 76%).
Altro punto di debolezza, continuano i produttori lucani è "l'estrema polverizzazione e frammentazione del settore, caratterizzato da una miriade di piccole imprese, molto spesso a conduzione familiare, che coltivano poco più di un fazzoletto di terra, che usano poco le macchine, date le caratteristiche orografiche dei luoghi di coltivazione, e che hanno scarsa sintonia col mercato, dove spesso si riconosce scarso valore ad un olio di elevata qualità come quello lucano. Fenomeno questo che, accompagnato da prezzi alla produzione eccessivamente alti non corrisposti dal valore delle vendite, provoca inevitabilmente la chiusura di imprese agricole già in sofferenza".
Ma c'è ottimismo tra i produttori tenuto conto che – come registra l'Inea - l'olivicoltura lucana negli ultimi anni ha avuto un impulso dinamico molto forte, sia per l'ammodernamento dei frantoi, sia per il consolidamento di vecchie varietà nelle zone di origine e, non per ultimo, per il miglioramento delle tecniche colturali, soprattutto per quanto riguarda la nutrizione, la difesa fitosanitaria, l'irrigazione e la raccolta. "Di conseguenza – proseguono gli olivicoltori - il settore olivicolo è cresciuto in termini di qualità e capacità imprenditoriale e lo dimostra la presenza sul mercato di etichette aziendali, nonostante siano ancora molto diffuse forme di commercializzazione in cisterna e in maniera anonima. L'olio lucano presenta proprietà organolettiche uniche, in virtù delle quali si colloca da tempo tra i protagonisti del ricco paniere di prodotti tipici e tradizionali che popolano la tavola locale".